Avete mai visto delle foto in bianco e nero sfocate? Credo di si. Posso dirvi che alcune di quelle immagini erano sicuramente venute male, ma altre nascevano proprio così, per dare la sensazione di entrare in un sogno.
Questa idea onirica arriva da colui che oggigiorno è considerato uno dei pionieri della fotografia di moda, il barone Adolf de Meyer (Parigi, 3 settembre 1868 – Los Angeles, 6 gennaio 1949), che viene ingaggiato da Condé Nast nel 1913 per scattare foto sperimentali per Vogue: ritratti di aristocratici, attrici e modelle con indosso i loro abiti usuali.
De Meyer, infatti, è famoso per il suo linguaggio fotografico espresso attraverso la tecnica del flou: un fuoco morbido che si propone di contrastare la speculare precisione anatomica dell’immagine, ovvero una tenua sfocatura che crea una dimensione/sensazione metafisica e misteriosa. Il flou è una tecnica assai diffusa nel pittorialismo e viene realizzata tramite il particolare obiettivo Pinkerton-Smith oppure coprendo un normale obiettivo con una garza di seta. Il barone intendeva mostrare che per lui era di fondamentale importanza non tanto l’immagine quanto l’immaginario, nello stesso modo in cui alla moda non serviva mostrare semplicemente un abito, ma creare un sogno desiderabile e condivisibile.Al barone si deve anche l’invenzione della posa delle modelle (con le mani sulle anche e il busto leggermente sbilanciato all’indietro) che è divenuto una sorta di codice per atteggiare il corpo sia nella fotografia sia nelle sfilate.
Ma De Meyer può vantarsi anche di un altro riconoscimento: la sua vita incarna alla perfezione quel modello di comportamento, fatto di originalità ed eccessi, che contraddistinguerà, a livello di stereotipo, il fotografo di moda per molti e molti decenni.
Chapeau, caro barone!!
Martina D’Ammassa