C’è un sentimento che da sempre muove l’anima degli artisti: la nostalgia. Il ricordo dei tempi passati, ciò che è stato e mai più tornerà: l’infanzia. È il ricordo per eccellenza, è la sensazione che suscita, come un abbraccio caldo, come un raggio di sole che ti riscalda. È l’essere bambini, in un turbinio di scoperte e fascino, in un fermento di emozioni indirizzate al futuro.
Roberto Roversi, classe 1947, trae ispirazione dalla nostalgia dell’infanzia. Le sue fotografie vengono considerate dai critici immagini dipinte e la luce così soffusa ed eterea dona un senso di mistero ai suoi soggetti.
La donna-bambina è la protagonista delle sue fotografie: l’incarnazione della fanciullezza e dell’età pura. La fragilità dell’anima prende vita e le foto diventano quasi spirituali.
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Il nudo è casto. L’assenza dell’erotismo ricalca la grazia e la purezza di un corpo ancora non contaminato dalla carnalità. E il flou onirico ritorna: come una nebbia soffusa, come in un sogno, nulla è nitido.
La fotografia di Roversi sembra antica e i soggetti di un’altra epoca. L’emozione nasce piano, ma poi ti coinvolge. È un turbamento silenzioso come le donne-bambine delle sue fotografie: non esistono parole, ma solo sensazioni, come la nostalgia.
La bellezza è mistero e la sua essenza si ricava dall’anima. Così il tempo di esposizione si allunga, forse per catturare meglio l’anima e la luce è naturale, quasi poca.
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La fragilità diventa la chiave di lettura delle sue fotografie, come la nebbia che circonda quei corpi immortalati che si fondono con lo sfondo.
Paolo Roversi ci lascia il senso dell’eternità, di istanti catturati che sopravvivono ai ricordi e la nostalgia diventa una presenza che non fa male, ma che addolcisce l’avvenire.
Martina
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