Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh è un romanzo disturbante, lucido e profondamente umano. Una storia che ti entra dentro con una semplicità disarmante e un tono tagliente come un bisturi.
Riassunto breve
La protagonista, Moshfegh la chiama solo “la ragazza”, è una giovane donna di New York che ha tutto: bellezza, soldi, un appartamento nell’Upper East Side. Ma è vuota. Dentro è cenere. Dopo la morte dei genitori — una madre alcolizzata e anaffettiva, un padre freddo e distante — decide di annullarsi. Letteralmente. Sotto la supervisione di una psichiatra grottesca, cinica e completamente inetta, che pensa solo ai soldi e le prescrive psicofarmaci come fossero caramelle, la ragazza mette in atto un piano: dormire per un anno. Non per morire, ma per sparire. Per resettarsi. Per tornare.
Il potere del sonno e l’inganno della fuga
Questa parte del romanzo è talmente intensa da farti vacillare. Leggendo, ho pensato più volte: “Vorrei dormire anch’io. Drogarmi con quella semplicità . Saltare il tempo che fa male”. Ma no. Non è un modello. Anche se sembra suggerirlo, non lo è. Lei smette di colpo i farmaci, senza una vera ricaduta. E questo mi ha lasciata perplessa. Come se il sonno fosse davvero una cura. Ma non lo è. E non possiamo prenderlo come tale. Dormire fa bene, sì. Quando ho attraversato momenti profondi di depressione, anche per me il sonno era una fuga. Una tregua. Ma non è mai la soluzione.
La protagonista: un’antieroina perfetta
Eppure, pur non essendo un’eroina, non riesco a provare rabbia nei suoi confronti. Anzi. Sento per lei un amore infinito. Perché prova a curarsi con ciò che ha — farmaci, silenzio, solitudine — aggrappandosi a brandelli di vita che neppure esistono. Questo la rende umana, fragile, unica. Qualcuno che vorresti salvare. Che non chiede aiuto, ma ti fa desiderare di restarle accanto.
La ragazza è sola, arrabbiata, incapace di amare o accettare il bene. È cresciuta senza affetto, senza guida. Reva, la sua unica “amica”, è presente, ma lei la rifiuta con fastidio. La detesta, perché non sa accettare l’amore. Reva è reale, sincera, imperfetta. Anche lei è spezzata: ha perso la madre, ha un padre che probabilmente aveva già un’amante mentre la moglie si ammalava. Reva è anche incinta, ma abortisce. Lo fa per un uomo narcisista e bastardo, che la usa e forse le concede in cambio una promozione. Dal libro non è chiaro se Reva sia promossa per merito o per quel legame tossico. Ma lei rinuncia al figlio, o ai figli che forse desiderava davvero. Per rincorrere un’idea borghese di felicità : la palestra, il lavoro, una vita migliore e più patinata rispetto a quella modesta della sua infanzia.
Il luccichio la porta alla perdita.
L’arte come specchio dell’anima
E poi c’è Ping Xi, l’artista che la coinvolge in una performance: lei dorme, lui documenta. Ho pensato che se ne sarebbe approfittato. E invece no. Ping Xi riesce a tradurre il suo annullarsi in qualcosa che somiglia all’arte. Riesce a vedere. E a far vedere. In questo, Moshfegh ci lascia una breccia di luce.
Le frasi che mi hanno trafitta
“Volevo dormire quanto bastava per non sentirmi più nulla.”
L’ho pensato anch’io. Nei giorni in cui tutto sembrava troppo, troppo rumoroso, troppo veloce, troppo vuoto. Dormire è stato rifugio e cura, anche se imperfetta. C’è qualcosa di tenero e disperato in questo desiderio: spegnersi per proteggersi. Non per arrendersi, ma per difendersi dalla vita quando fa troppo male.
“Il rifiuto può essere l’unico antidoto all’illusione.”
Rifiutare può voler dire vedere davvero. Smontare le bugie, le proiezioni, i sogni che non ci appartengono. È una frase scomoda, che scava. Perché a volte ci aggrappiamo a illusioni pur di non sentire il vuoto. Ma rifiutarle può essere un atto d’amore verso noi stesse. Verso la verità . Verso una nuova possibilità .
“C’era una certa stabilità nel vivere nel passato.”
Questa frase mi consola. Anche quando il presente vacilla, il passato è lì. Con tutte le sue crepe e le sue cicatrici, ma stabile. Conosciuto. È una trappola, sì, ma anche un rifugio. La vita è un equilibrio fragile tra buio e luce, profondità e superficialità , dolore e bellezza. E a volte il passato, per quanto imperfetto, è l’unico posto che ci fa sentire al sicuro.
Una New York satura e attuale
Anni fa avrei detto che questa New York sembra futuristica, alienata. E invece no. È esattamente la New York di oggi. E forse il mondo intero. Freddo, caotico, anestetizzato.
L’ultima frase: il risveglio più vero
“Eccola, un essere umano che si tuffa nell’ignoto, ed è perfettamente sveglia.”
La protagonista guarda Reva — o meglio, una donna qualunque che si getta dalle Torri Gemelle. In quel gesto estremo c’è il vero opposto del suo esperimento. Lei, la protagonista, ha passato un anno a dormire per sfuggire alla realtà , a blackout emotivi e psicologici. Quella donna invece sceglie, sveglia. Si tuffa nell’ignoto, consapevole. Per fuggire a una morte certa, affronta un’altra morte possibile. Ma con lucidità . Quella lucidità che la protagonista ha inseguito nel sonno, senza mai trovarla.
Il mio anno di riposo e oblio non è un romanzo da leggere per trovare risposte, ma per farsi domande. E per sentire. Anche se ciò che senti ti fa male.
È un libro che ti costringe a guardarti. E che, nel farlo, ti scompone. Come un puzzle da cui mancano dei pezzi. Proprio come il cuore della protagonista.