Sarah Moon è un nome d’arte. Un nome che racchiude il significato profondo di un’anima enigmatica che esprime la propria essenza tramite le fotografie.
Sarah Moon, come una luna pallida immersa nella foschia. Così me la immagino, enigmatica, ma profonda.
Scatta durante gli anni ’70, ma nessuno direbbe che quelle fotografie siano proprio di quel decennio. Perché questa fotografa torna in dietro e guarda al passato: il flou del barone De Meyer diventa il filtro della sua arte.
Nostalgica e profonda, Sarah Moon non sperimenta nuove tecniche, ma si rifiugia nel passato, forse quello dell’infanzia, i cui ricordi sembrano balenare in modo onirico nella mente umana.
Le linee sono morbide e delicate, i corpi puri e i volti sempre malinconici. I soggetti delle sue fotografie di moda non sembrano gli abiti e neppure i corpi, ma l’atmosfera in cui ci si ritrova ammirando quelle immagini: sembra di camminare negli abissi di un oceano, dove le ombre si confondono e i pensieri si mischiano.
“Ogni fotografia è l’ultimo testimone, se non l’ultima testimonianza di un momento che altrimenti sarebbe perduto per sempre; è il senso della perdita e del tempo che passa…”. Immortalare un istante per renderlo eterno e rubare alla morte un frammento di vita era il suo scopo. Come darle torto? Del resto la fotografia è lo scrigno di un passato conservato per poter essere (ri)vissuto nel futuro.
È raro vedere fotografie che si scambiano per quadri, ma Sarah Moon è riuscita a dipingere delle fotografie. Un linguaggio nuovo che non ha nulla di sperimentale, ma solo di profondo e umano.
Lei e le sue fotografie sono uno scrigno da custodire nella storia e nel cuore, in quella parte in cui celiamo i ricordi inquieti dell’anima e in cui speriamo di rifugiarci per l’eternità.
Martina