Una madre, Joy, interpretata dal premio Oscar come miglior attrice protagonista, Brie Larson e suo figlio Jack, interpretato da Jacob Tremblay, cinque anni di prigionia, la forza e il coraggio dell’amore, la vita all’interno di una piccola e angusta stanza, pochi oggetti attorno che si animano come essere umani, un piccolo lucernario da cui si intravede il cielo e una porta blindata, l’ostacolo per la tanto attesa libertà.
Sono questi gli elementi che accompagnano la visione di Room, ultimo film dell’irlandese Lenny Abrahamson, tratto dal romanzo che è riuscito magistralmente a far emergere per tutta la durata del film, l’unico elemento espressivo ed emozionale privo di ogni qualsiasi orpello tecnico e artificiale: la forza indissolubile e coraggioso dell’amore assoluto di una madre.
Il coraggio di Ma’- Joy, Brie Larson, si evince dal modo così semplice e amorevole con cui tenta di spiegare al figlio Jack, la vita che c’è al di fuori da quella stanza, al di fuori da quel lucernario che lascia intravedere il cielo e gli alberi. E’ riuscita a far vivere per cinque lunghi anni suo figlio in quella stanza piccola e buia, e lì che è nato ed e lì che lui ha costruito la sua realtà senza aver mai avuto l’esigenza di capire o conoscere cosa c’è al di fuori della stanza.
Jack ama profondamente ogni singolo elemento di quella stanza, chiama gli oggetti in continuazione per nome, come se fossero umani come lui. Colpisce questo elemento perché è frutto di una grande e coraggiosa volontà di rendere realtà qualcosa che è un incubo, una spaventosa e claustrofobica vita. Ma, Brie Larson, crea il mondo perfetto per il suo bambino, per cinque lunghi anni vive questa drammatica situazione di prigionia attaccandosi alla forza del suo amore.
L’espressione del volto di Mà- Joy, Brie Larson, nel momento in cui spiega a Jack la realtà al di fuori di quella stanza e del modo in cui il piccolo Jack deve riuscire a scappare avvolto in un tappeto, creano in chi sta assistendo a quella scena, un senso di smarrimento e nello stesso tempo di eccitazione. Vorremmo tutti che ci parlassero così in ogni nostro momento difficile con quelle parole che ci indicano come affrontarlo. Quegli occhi dicono tutto al piccolo Jack, lo rassicurano, lo amano.
Un’interpretazione quella di Brie Larson, che lascia tutti con il fiato sospeso, magistrale per come riesce ad emozionare per tutta la durata del film. La recitazione, il modo così naturale e semplice con cui esprime le sue emozioni e soprattutto il modo in cui sa essere mamma, ribadiscono il meritato premio come miglior attrice protagonista nell’ultima edizione degli Oscar.
E’ un film che lascia emozioni vere e forti. Il regista Lenny Abrahamson attraverso i cambi di prospettiva, dati dai movimenti di macchina, dà la possibilità allo spettatore di vivere realmente l’azione che si sta svolgendo. La stanza, la soglia (la porta, il lucernario), l’esterno sono tre modi per affrontare la nostra vita. Dove scegliamo di stare dipende da una nostra scelta. Non tutti riusciamo ad andare oltre, a spingerci oltre la soglia. Rimaniamo nella nostra piccola realtà senza aver mai il coraggio di spingerci oltre e di affrontare la vita con coraggio. Mà-Joy, Brie Larson, c’è riuscita. Ha scelto di affrontare la vita e di salvare se e il suo bambino spinta dall’unico sentimento che può far muovere anche le montagne: la forza e il coraggio dell’Amore.
Un film unicamente da vedere con gli occhi appassionati di chi sta per assistere ad una drammatica sequenza di azioni dal tasso fattore emotivo, dove la rabbia lascia il posto alla speranza di trovare finalmente la tanto attesa libertà.
Rosy Germanà